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Unicamente umano: commento a Giorgio Vallortigara

TomaselloCon il titolo “Prima si coopera, poi si parla” il professore di neuroscienze dell’Università di Trento Giorgio Vallortigara ha recensito su Domenica24 il libro dell’antropologo evolutivo Michael Tomasello intitolato Unicamente umano. Storia naturale del pensiero (il Mulino). Io stesso nelle mie conferenze spiegavo, avendolo ripetutamente letto, che ciò che ci differenzia dalle scimmie è lo sviluppo dei lobi frontali, detti anche lobi culturali.

Secondo ciò che fino ad ora sembrava evidente  lo sviluppo dei lobi frontali e di conseguenza della nostra cultura andava attribuito al linguaggio essendo in fondo il pensiero costruito su questa nostra  capacità. Recentemente,  inoltre, a convalida di queste interpretazioni è stato dimostrato che il linguaggio è naturale conseguenza della nostra gestualità. Fino ad oggi, riferisce Vallortigara, l’individuazione di qualcosa che rende unico il nostro sistema nervoso rispetto a quello degli altri animali è risultato  difficile.Varie ipotesi si sono succedute, in particolare che i nostri due emisferi avrebbero una asimmetria di funzioni con le due parti intente  a svolgere compiti differenti, come molto bene aveva spiegato negli anni ’80 Elkhomon Goldberg nel suo libro L’anima del cervello (Utet).

In realtà l’asimmetria di funzioni è stata dimostrata anche in alcuni animali ed è presente addirittura in un nematode vermiforme, lungo 1 mm e dotato di solo 300 neuroni. L’idea poi che i lobi frontali siano evoluti a dismisura è stata recentemente fatta a pezzi da ricercatori come Robert Barton dell’Università di Durham. In sostanza le dimensioni del nostro cervello sono coerenti con quelle di un primate della nostra grandezza! Povero sapiens, che brutta notizia da digerire. Qualche anno fa, venne dato grande valore alla scoperta,  rivalorizzata, che fossero i neuroni  scoperti da  Von Economo (1929),  cellule nervose di tipo fusiforme, il vero movente del nostro essere sapienti. In realtà questi neuroni, oltre a essere presenti nelle grandi scimmie, sono stati trovati anche nelle balene, negli elefanti  ed addirittura negli ippopotami pigmei, oltre che nelle piccole scimmie. Insomma, cosa allora ci distingue dagli animali e cosa in particolare ci ha fatto evolvere ? La risposta di Tomasello (condirettore dell’Istituto MaxPlanck per l’antropologia evoluzionistica di Lipsia ) è semplice: nell’homo sapiens è “l’intenzionalità condivisa” il motore evoluzionistico.

A differenza degli scimpanzè,  che in una serie di esperimenti hanno dimostrato di sapere leggere la mente dell’altro, e cioè il comportamento di colui che hanno di fronte, nell’umano avviene un meccanismo di intenzionalità condivisa, in altri termini di cooperazione opportunistica. La cognizione sociale dei primati  non umani si è evoluta fondamentalmente nel contesto della competizione per le risorse del gruppo (cibo, partner  sessuali, ecc). L’idea di Tomasello è che gli esseri umani posseggano  una forma di pensiero unica, l’intenzionalità condivisa, che sarebbe sorta in relazione ad adattamenti volti a risolvere problemi di coordinamento  sociale, che emergono quando gli individui cercano di collaborare con gli altri anziché competere.

La complessità delle capacità cognitive degli esseri umani potrebbe essereil risultato della complessità della loro vita di relazione. In tal caso, scrive Vallortigara, lo scenario evolutivo dovrebbe implicare la selezione delle capacità cognitive in qualche altro dominio e la sua successiva estensione nell’ambito dei problemi sociali. A conferma di ciò il fatto che i bambini di età prescolare sono nettamente più evoluti delle scimmie nella soluzione  di problemi che riguardano la sfera sociale mentre sono sovrapponibili alle scimmie nella risoluzione di problemi fisici. E’ plausibile perciò, secondo  Tomasello,  che pressioni ecologiche, quali il venir meno della necessità di procurarsi il cibo individualmente e la concorrenza esercitata da altri gruppi, abbiano agito sullo sviluppo delle relazioni sociali di Homo sapiens favorendo l’evoluzione di modi di vivere fondamentalmente più cooperativi (accudimento dei piccoli, raccolta del cibo, difesa cooperativa del gruppo, forme cooperative di insegnamento e comunicazione) che richiedevano abilità cognitive fondate sull’intenzionalità congiunta .

Il linguaggio quindi, scrive ancora nella sua recensione Vallortigara, pure molto importante, sarebbe entrato in gioco successivamente   grazie agli adattamenti preesistenti per l’intenzionalità congiunta. Sarebbero  pertanto questi  presupposti dell’ interazione sociale e della  intenzionalità condivisa  ad avere  favorito processi che hanno successivamente reso possibili  linguaggio, scrittura e cultura. Insomma, se  questa ipotesi fosse fondata, non ci sarebbero sostanziali differenze dal punto di vista evolutivo fra il cervello umano e quello delle  scimmie o degli  ominidi che ci hanno preceduto ma, sulle comuni basi anatomico  funzionali, l’evoluzione del sapiens sarebbe da ascrivere semplicemente ad una maggiore capacità collaborativa in fondo innescata da un logico opportunismo  per una migliore sopravvivenza della specie.

In fondo, se questa ipotesi venisse confermata, e  l’autorevolezza di Tomasello la rende molto veritiera, ancora minore sarebbe, dal punto di vista evolutivo, il balzo in avanti dell’homo sapiens rispetto agli altri animali, e forse dovremmo guardare con maggiore rispetto alcune specie animali. Come ad esempio gli elefanti, la cui capacità di aggregazione, rispetto  individuale, amore per i piccoli, dignità nell’affrontare la morte, lutto per i defunti, è sicuramente maggiore di quanto faccia l’Homo sapiens.

Vedi anche: 

A che gioco giochiamo noi primati. Intervista a Dario Maestripieri

Archeologia della mente: intervista a Jaak Panksepp

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